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Piuttosto che scrivere e parlare del silenzio sarebbe meglio praticarlo, quindi tacere. Si potrebbe poi evitare l'India, e tutto il caos che comporta. Tuttavia qualche parola la si può anche spendere per elogiarne l'assenza, e per descrivere come nella tradizione dello yoga si sia conservata la memoria di una serie di pratiche psicofisiche che sono in relazione con gli effetti positivi di una rinuncia che oggi appare curiosa, anacronistica. Così l'idea di questo libro nasce quando il maestro indiano Swami Veda Bharati comunica la decisione di voler entrare in un periodo di silenzio di cinque anni accompagnato dal silenzio praticato collettivamente per nove giorni da quattrocentocinquanta persone. Alla descrizione di questo evento centrale si affiancano notazioni sull'India e i suoi guru carismatici, sullo yoga e i suoi fasti originari (e sulle confusioni odierne che circondano questa disciplina in Occidente). Un immenso paese visto da vicino e raccontato con uno stile a metà fra cronaca e racconto, un luogo esotico sulla carta geografica che somiglia più a uno spazio immutabile dell'anima, e che non sempre è facile riconoscere e comprendere.